TRACCE NELLE NEVI D’ISLANDA

Un viaggio della Scuola di Sci Alpinismo Città di Trieste per il suo 45° anniversario

45 anni dalla fondazione della Scuola di Sci Alpinismo Citta di Trieste avvenuta nel lontano 1979. 45 anni di attività didattica che hanno visto istruttori ed istruttrici delle due sezioni cittadine, e non solo, formare allievi e allieve alla cultura della sicurezza e del rispetto dell’ambiente alpino innevato, con gli sci e le pelli di foca ai piedi. 

Per alcuni istruttori è qualcosa di consueto celebrare questi importanti anniversari con un viaggio particolare, mentre per coloro che sono entrati da poco nella Scuola è qualcosa di completamente inedito. In entrambi i casi si tratta di qualcosa di speciale, che ha l’obiettivo di consolidare i legami tra gli istruttori, praticando lo scialpinismo in contesti diversi da quelli che ben conoscono, come le montagne ed i climi alpini e senza allievi dei corsi.

Ebbene, tra le varie possibili mete contemplate, la scelta ricade sull’Islanda che fin da subito, anche nelle ricerche preparatorie al viaggio, appare come un luogo dove le forze della natura, il vento, la neve e il ghiaccio si mescolano al magma creando un’isola museo in cui è possibile ammirare e toccare con mano diversi fenomeni che ti fanno percepire di camminare su un pianeta vivo.

Qui è possibile nuotare nell’acqua gelida in una frattura tra la placca americana e quella euroasiatica che si allontanano spinte dalla dorsale medio atlantica, una catena di vulcani sottomarini che ininterrottamente eruttano magma creando nuova crosta oceanica a un rateo di 2 cm all’anno, 2 metri ogni cento anni, 20 metri ogni mille anni. Tra un milione di anni l’isola sarà più larga di 20 km, tra 200 milioni sarà lunga come il Cile.

La dorsale passa al centro dell’isola, per poi dividersi in due rami evidenziati dalla presenza dei vulcani. Questo sistema di vulcani è tra i motori che muovono le placche terrestri. È qui che si generano gli sforzi che verranno liberati con i terremoti, che in Islanda non sono forti, ma piccoli e costanti.

Ma per “fare” l’Islanda non è bastata la dorsale medio atlantica ma si è aggiunta una risalita di magma dal mantello, da 500 km di profondità, un Hot Spot. L’insieme combinato di questi due fenomeni genera una quantità di magma tale da far emergere l’isola con un processo simile a quello che ha generato le Hawaii. Negli ultimi 300 anni l’Islanda ha prodotto un terzo della lava globale.

I monti e i vulcani non hanno la caratteristica di raggiungere altitudini elevatissime ma affondano i loro piedi nel mare, venendo spesso ricoperti da ghiacciai che, mescolati con il paesaggio marino, creano un panorama assolutamente unico e particolare ai nostri occhi, che unisce paesaggi che evocano in noi sensazioni esotiche con quelli alpini, passando attraverso quelli introspettivi delle disabitate e sterminate steppe dell’interno. Per noi scialpinisti, tali caratteristiche danno la possibilità di calzare gli sci proprio dal mare e raggiungere vette che dominano i fiordi innevati dell’Oceano Artico.

Un altro aspetto importante da tenere in considerazione è che “l’estrema impredicibilità delle condizioni atmosferiche, riduce l’uomo a un’obbedienza straniante: l’Islanda educa al rinvio e al cambio di programma, sbatte in faccia ai suoi abitanti la materiabilità della variabile tempo. Qui le ore possono essere toccate, i giorni annusati” (L.Piccione,Il libro dei vulcani d’Islanda. Storie di uomini, fuoco e caducità, 2019). Queste parole saranno il mantra che ci accompagnerà nel nostro viaggio attraverso una terra meravigliosa, sferzata da forti tempeste di neve alternate a schiarite ricche di luce.

In tutto saremo 25 tra istruttori e istruttrici, con un primo gruppo che prevede la permanenza di due settimane con in programma salite a varie cime lungo il periplo dell’isola, mentre un secondo gruppo raggiungerà Olafsfjordur, nella Penisola dei Troll per un soggiorno di nove giornate.

Il viaggio inizia da Trieste, in macchina, con prima tappa Monaco di Baviera dove ci imbarcheremo su un aereo che ci porterà a Reykjavik. L’eccitazione è evidente, tra battute e preoccupazioni relative al peso dei nostri  bagagli speciali, ed alla possibilità o meno di trasportare qualche provvista alimentare nascosta all’interno degli scarponi. 

Una volta atterrati e ritirati gli automezzi, iniziamo il “viaggio” in direzione dello Snæfellsjökull, il vulcano dal cui cratere inizia il “viaggio al centro della terra” di Jules Verne, nonché il nostro primo appuntamento scialpinistico islandese. La mattina però, svegliati di buon ora e messe le pelli agli sci, sentiamo per la prima volta il ritornello menzionato sopra ed entriamo nell’atmosfera islandese: il meteo che da previsioni sembrava inizialmente favorevole, risulta decisamente peggiorato, con nevicate accompagnate da forti raffiche di vento. Non del tutto convinti decidiamo comunque di tentare l’avvicinamento in macchina ma la strada chiusa a molti chilometri dalla meta, ci fa rinunciare alla salita e ci dirotta verso Grundarfjörður. Il viaggio ci regala delle emozioni uniche, dove vediamo per la prima volta paesaggi così sterminati quanto sferzati da un clima duro ed intenso, che fa sentire tutta la sua pienezza: siamo in un luogo sí aspro e duro, ma pieno ed incantato, da tenerci fissi con lo sguardo fuori dal finestrino. 

Raggiunto Grundarfjörður, centro abitato sulla costa N della penisola di Snæfellsnes posto al termine dell’omonimo fiordo, forti della tanta voglia di mettere gli sci e dell’attenuarsi del vento e della nevicata, optiamo per una gita di ripiego per “assaggiare” la neve islandese. Partendo dal parcheggio delle cascate ghiacciate Kirkjufellsfossar (20 m/slm), ai piedi del noto monte a forma di chiesa, il Kirkjufell (463 m), che domina il Grundarfjörður, risaliamo un vallone chiamato Seljadalur fino al lago a quota 550 m. La scarsa visibilità ci impedisce di proseguire verso la cima, peraltro caratterizzata da pendii ripidi e non sicuri dopo l’abbondante nevicata. La discesa verso il mare, nella neve polverosa, viene premiata da qualche scorcio sul Kirkjufell che svetta nel mezzo del fiordo.

La sera, dopo una delle tante cene conviviali, che caratterizzeranno il nostro viaggio, ci concediamo una passeggiata in un’atmosfera da fiaba sul porto della cittadina di mare con i monti affacciati alle case, con un freddo pungente e con un sorriso fermo sulle labbra, felici per essere comunque riusciti a mettere per la prima volta gli sci sull’isola e fantasticando sulle giornate che ci attendono. 

La mattina lasciamo Grundarfjörður e guidiamo nelle prime luci incontro al sole che diventa sempre più alto. A differenza dei giorni precedenti il cielo è sereno, ma questo non basta per affermare che il meteo sia buono. Soffia un vento impetuoso che sposta enormi quantità di neve che rende difficoltosa la guida e spazzola i versanti delle montagne.  Per noi scialpinisti, la visione è perlomeno allarmante. Ci consolano gli stupendi panorami che rapiscono il nostro sguardo: distese di neve, lande deserte, qua e là gruppi di cavalli vicini tra loro in mezzo al bianco spazzato dal sole. Baie, fiordi e tante montagne. Sembra di essere ai confini del mondo.

Verso la fine del pomeriggio, lungo la strada statale 76 della penisola del Troll, passiamo nel punto più a nord del nostro viaggio, a pochi chilometri dal Circolo polare artico: un susseguirsi di promotori si alternano a strette e profonde baie in cui il mare si spinge nell’isola, i fiordi. In viaggio verso Siglufjörður, teniamo la costa a poche decine di metri dalla strada, con singole case isolate che rompono il blu, il marrone ed il bianco caratterizzanti il paesaggio. Riprende a nevicare. Il mare è verde scuro impetuoso e ha una forza magnetica e terrificante allo stesso tempo. Qualcuno di noi avrebbe voluto fare il marinaio artico ma probabilmente solo per andare alle birreria Seagull nella cittadina di Siglufjörður, approdo sicuro per gente di mare e di montagna.

Trovare delle bolle di normalità in queste tempestate cittadine che sembrano abbandonate ma non lo sono, ci colpisce.

Qualche birra, quattro passi nel paesino, la spesa, risaliamo in macchina, ancora un tunnel, una baia, un altro tunnel e un’altra baia e arriviamo a Ólafsfjörður. Lì raggiungeremo la preziosa struttura in autogestione che sarà il nostro campo base per le prossime giornate. Il gestore ci accoglie calorosamente mostrandoci la cucina professionale che diletterà cuochi e cuoche e il tavolo da biliardo che ci impegnerà nelle lunghe attese delle tregue dalla tormenta.

É stato un lungo giorno in macchina sia per i guidatori che si davano il cambio che per i passeggeri impegnati a guardare fuori.

È il 7 aprile e siamo ancora immersi nella bufera di neve caratterizzata da forte vento proveniente dall’Oceano Artico. Uniche attività possibili a basso rischio: contemplare il mare in burrasca, visitare il museo di storia naturale della comunità del paese o cimentarsi in un torneo di biliardo a squadre.

In serata arriva il secondo gruppo e finalmente ci ritroviamo tutti insieme in un’atmosfera inconsueta e suggestiva che ci fa percepire l’isolamento geografico di questo piccolo centro abitato.

Il giorno successivo la bufera continua e la visibilità è pessima. La voglia di muoversi è tanta ma viste le critiche condizioni nivometeo, con un elevato pericolo di valanghe – grado 4 – strade bloccate e evacuazione di alcuni borghi nei fiordi del Nord-Est, optiamo per una “dimensione orizzontale” dello scialpinismo con il giro del lago Ólafsfjarðarvatn. Attraversiamo surreali borghi di pescatori e allevatori di cavalli, sommersi dalla neve. Insolito punto di arrivo: la chiesetta Kvíabekkurkirkja, per poi rientrare sul lato opposto del lago. Sviluppo totale di circa 18 km per un dislivello complessivo di meno di un centinaio di metri. Non una vera gita, ma una gran sgambata in un ambiente estremamente suggestivo. La sera ci concediamo un bel piatto di gnocchi fatti in casa, preparati anche grazie alla comodissima cucina.

Al mattino del 9 aprile il meteo è finalmente perlomeno discreto. Non possiamo attendere oltre e raggiungiamo il parcheggio tra le due gallerie che collegano Ólafsfjörður e Siglufjörður, in corrispondenza dell’estremità S del lago Héðinsfjarðarvatn. Partendo praticamente da quota zero, saliamo la cima del Vatnsendahnjúkur (728 m), ancora con scarsa visibilità. 

Partiamo tutti assieme e facciamo davvero impressione: 25 giacche rosse, 25 puntini che si muovono in questa valle bianca che si affaccia sul mare. Man mano che saliamo iniziamo a distaccarci a gruppetti, ma in vetta arriviamo tutti assieme. La discesa ci offre neve polverosa e incredibilmente ben assestata, nonostante gli enormi accumuli creati dal vento dei giorni scorsi. A valle, approfittando del bel tempo, ripelliamo e raggiungiamo sul versante opposto del lago la forcella Hólsskarð (615 m). Il vento è molto forte, modella artisticamente il manto nevoso e pulisce il cielo regalandoci la prima discesa guardando il mare.

Il 10 aprile inizia con un meteo finalmente ottimo fin dal mattino. Assenza di vento. La giornata promette bene. Partenza da Ólafsfjörður in direzione di Dalvik. Parcheggio vicino al Karlsá Lodge (80 m), per risalire lungo la valle Karlsárdalur al Karlsárfjall (988 m). Anche qui partiamo tutti e 25 assieme, e chiacchiere, racconti, battute ed aneddoti cadenzano il ritmo della progressione. Il panorama è fantastico: il blu del mare è intervallato dal bianco del paesaggio innevato per poi tornare al blu intenso del cielo. La vista si perde tra cime e la linea perfetta dell’orizzonte dell’Oceano Artico attrae magneticamente il nostro sguardo. Ci aspettiamo in cima per un “Berg Heil” pronunciato con un sorriso e una stretta di mano calorosa, foto di gruppo, e giù per una inebriante discesa nella polvere fino a quota 500 m. E’ impossibile resistere a quella neve, ripelliamo e risaliamo allo Jökulkollur (1045 m), con la sua splendida dorsale terminale che ci porta in cima. Una discesa stupenda, con le acque del fiordo, ancora una volta,  come punto di arrivo.

Concludiamo con una meritata sosta a Dalvik, in un caratteristico localino dove tra sestanti, reti da pesca e sci d’epoca. Mare e montagna si mescolano armoniosamente. Giornata magnifica, che resterà nei ricordi. 

Le “luci del Nord”, l’aurora boreale, tanto attesa da chi visita le alte latitudini, non è per niente scontata. Necessariamente devono coincidere diverse variabili come il cielo sereno, una tempesta solare di almeno media intensità e il trovarsi in una zona a basso inquinamento luminoso e preferibilmente con un bel soggetto da inquadrare dove l’aurora fa semplicemente da sfondo. Finalmente una notte serena e l’App “hello aurora” ci promette  un grado di intensità 4 su scala di 9 per l’aurora boreale.

Nonostante la stanchezza della giornata trascorsa sugli sci al segnale del primo che la vede ci fiondiamo fuori restando con il naso all’insù, a contemplare questa “magia”. Ennesimo regalo di questo viaggio. Siamo felici. 

L’11 aprile il meteo è nuovamente avverso.

Da queste parti dai monti al mare il passo è breve, così ci avventuriamo in una frizzante uscita di whale watching nel fiordo di Dalvik. Oltre ad edredoni e fulmari, osserviamo una sola balena, una megattera intenta a nutrirsi con l’abbondante pesce azzurro presente nel fiordo.

In un paese come l’Islanda, dove la caccia alle balene è ancora permessa nonostante le proteste internazionali, diventa particolarmente importante sostenere il whale watching; attività sostenibile ed economicamente interessante per le comunità locali che dando un valore ai cetacei anche da vivi, potrebbe portare ad una futura protezione totale di questi nostri compagni di “classe”.

Il giorno seguente il meteo è nuovamente sfavorevole. I giorni sono scorsi veloci e per i due gruppi è giunto il momento di salutarsi. Il gruppo che rientra in Italia ha in programma un tentativo allo Snæfellsjökull, il vulcano che le condizioni avverse hanno fatto desistere il primo gruppo. Gli altri proseguiranno il periplo dell’isola con prossima meta Akureyri e la salita al bivacco Lambi, a quota 720 m, alla base di un bel anfiteatro di cime glaciali ricco di opportunità scialpinistiche.

La visibilità solo di qualche metro, il temibile white out,  mette per un attimo in dubbio la possibilità di salire ma valutato il basso rischio di valanghe per la conformazione della valle e grazie all’aiuto di un escursionista locale, scarichiamo la traccia GPS sul nostro Garmin e partiamo. Il primo batte traccia mentre il secondo gli dà la direzione con il GPS: in queste condizioni è un’esperienza alienante, in quanto il bianco intenso ti disorienta e non ti fa percepire le fenditure scavate dall’acqua nel pendio, tanto da rischiare di finirci dentro. Per questo motivo sperimentiamo un sistema composto da un bastoncino con lungo cordino colorato che, frustando il bianco davanti a sé, consente di capire la pendenza e eventuale presenza di buchi pericolosi. Dopo 5 ore di cammino e 15 km di tempesta bianca, raggiungiamo la nostra meta. Questa lunga marcia si è rivelata una grandissima occasione di studio sul campo, lavoro di squadra e in poche parole: una costruttiva avventura.

Il meteo, per l’indomani, assicura bel tempo e noi dopo un combattuto “coteccio” ci addormentiamo fiduciosi nella piccola capanna, cullati dal rumore del vento.

Purtroppo però, in Islanda e soprattutto nei fiordi del Nord, le previsioni mutano di ora in ora e al mattino continua a nevicare. Rinunciamo alle cime più alte e decidiamo di scendere lungo la valle per poi risalire lungo i perfetti pendii dello Ytri Súla (1144 m), una delle due cime del Súlur. Discesa su neve spettacolare per alcune centinaia di metri e poi veloce ripellata a quota 950, funzionale ad aggiungere altre belle curve in polvere e a raggiungere comodamente il parcheggio.

Di nuovo in viaggio e dopo circa 200 km raggiungiamo l’area vulcanica del lago Myvatn. Spazi sconfinati caratterizzano il paesaggio. L’’orizzonte è disseminato da coni vulcanici e fumarole provenienti da aree geotermiche dove al tramonto si possono cogliere ottime opportunità per la fotografia.

Alla sera il tempo è bello e la temperatura scende sotto i -10, ma il cielo sereno dura solo poche ore.

Nella stessa giornata, il gruppo in fase di rientro verso Reykjavik raggiunge la cima dello Snæfellsjökull, caratterizzato dalla caratteristica meringa sommitale da salire con piccozza e ramponi. Un altro obiettivo del viaggio è stato raggiunto.

All’indomani il viaggio prosegue attraverso i paesaggi della costa est per portarci finalmente al cospetto dei grandi ghiacciai. Finalmente, intravediamo il Vatnajokull, già ammirato dall’aereo: massima elevazione islandese e quarta massa glaciale del pianeta. Una “cappa di ghiaccio” che può arrivare anche a 900 m di spessore, sovrastando i vulcani sottostanti e con una superficie di circa 100 per 50 km.  Imperdible la laguna di Jökulsárlón ai piedi del Vatnajokull, dove blocchi di ghiaccio caduti dal fronte glaciale vengono trasportati in mare e poi riportati dalle onde sulla spiaggia di lava nera della famosa Diamond Beach, prima di sciogliersi mescolandosi alle acque dell’Oceano. 

Attendiamo una nuova finestra di bel tempo, favorevole alla salita del nostro obiettivo, la cima dell’ Hvannadalshnjúkur, principale elevazione dell’immenso Vatnajokull. La gita non presenta di per sé difficoltà tecniche elevate ma un dislivello importante di più di 2000 m. Studiamo l’itinerario e ci confrontiamo, con la voglia di arrivare in cima tutti assieme.

L’itinerario presenta un primo “muro” di 600 m di dislivello privo di neve. Una volta messe le pelli, ci porteremo al plateau a quota 1800 m, il grande cratere del vulcano, e quindi, aggirando un enorme crepaccio, all’attacco dell’ultima rampa che ci condurrà ai 2110 metri della vetta.

La sveglia suonerà alle 4:00 del mattino, ben prima del sorgere del sole ma veniamo svegliati nel cuore della notte dalle grida di stupore di alcuni turisti asiatici. Non è difficile intuire il motivo di tanta agitazione, usciamo e rimaniamo nuovamente folgorati dell’aurora boreale in tutta la sua sinuosa bellezza. Che sia di buon auspicio per la prova del giorno successivo? 

Il 16 aprile, dopo una notte perlomeno agitata, raggiungiamo la partenza della gita nella località Sandfell Öræfi. Fin dai primi passi il paesaggio, ancora una volta diverso, ci regala le luci dell’alba sulla steppa che si perde nell’oceano. 

Siamo uniti, ci aspettiamo, sentiamo l’amalgama tra di noi. Siamo un gruppo. 

Calziamo le pelli e man mano che saliamo la temperatura si fa sempre più pungente ma non c’è una nuvola in cielo. Intanto il pendio ci conduce costantemente fino al plateau, dove il freddo ci congela le parole. Ci leghiamo in tre cordate. Arrivati all’ultimo breve pendio, come da copione, compare una nube che avvolge la montagna e ci accompagnerà fino alla cima, precludendo la vista sulla distesa di ghiaccio che ci circonda. Siamo felici di essere quì, su questa calotta glaciale che guarda l’oceano. Cerchiamo avidamente di rubare ancora qualche immagine, da conservare nei nostri ricordi, di questo posto così lontano che ora sentiamo già un po’ nostro.

La discesa questa volta non è bella, neve crostosa e poi ghiacciata e resa irregolare dal vento che ci fa scivolare fino al cambio d’assetto e poi alla macchina. 

Grandi sorrisi. Strette di mano e abbracci. 

Con questa salita abbiamo raggiunto il principale obiettivo del viaggio e soddisfatti possiamo tornare a Trieste.

L’Islanda come già detto è un paese vivo. Nascono e muoiono vulcani continuamente. Il paesaggio evolve continuamente.

La forma dei vulcani la conosciamo tutti, il magma però può uscire anche attraverso delle fessure che si aprono nel suolo fino a costruire in pochi giorni un nuovo cono vulcanico. Questo è quello che è successo tra l’ottobre 2023 e l’aprile 2024 nell’area di Grindavik .

Arrivati a Reykjavik e spinti dalle istruzioni degli amici che ci hanno preceduto, andiamo a cercare il neonato vulcano.

Lo spettacolo è unico. Un calderone di magma che ribolle e regala giochi pirotecnici e di luce che ci tengono fermi immobili a osservare il “palpito della Terra”.

Così ci saluta l’Islanda ricordandoci ancora una volta che la Terra è viva. Lo fa facendosi capire anche da noi, piccole scintille nel tempo geologico, conferendo una dimensione temporale a noi consona dei fenomeni geologici. Nel nostro breve viaggio, abbiamo calpestato rocce di sole 2 settimane di vita, non  di 180 milioni di anni e più come siamo soliti fare sui monti di casa, più antichi ma non per questo meno vivi.

Con gli occhi, la mente ed il cuore pieni di bellezza salutiamo l’Islanda, dove abbiamo lasciato nella neve la nostra effimera “traccia” che ben presto sole, vento e neve cancelleranno. Rimarranno i ricordi.

Torniamo diversi da come siamo partiti. Ognuno porta dentro di sé un piccolo cambiamento, a noi saperlo cogliere e coltivare.

La terra che abbiamo visitato sa esprimersi con forza, determinazione, imponendo delle regole. Non per una cieca obbedienza ma per entrare in contatto con essa, una convivenza costruttiva. Compiendo questi viaggi, noi speriamo di trovare modi per svolgere le nostre attività e condurre le nostre vite che sappiano adattarsi alle diverse situazioni, plasmarsi a seconda delle occasioni. Sempre nel pieno rispetto di sé stessi e in equilibrio con ciò che ci circonda.
(Autori: Longato Enrico, Pavan Marco, Tenze Daniele)

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